Contenzioso

Redditi non dichiarati, indagini bancarie anche sul dipendente

di Salvatore Servidio

La pronuncia contenuta nell'ordinanza 4 gennaio 2019, numero 104, della Corte di cassazione ha avuto origine dal fatto che una contribuente ha impugnato l'avviso di accertamento dell’anno 2006 con il quale le veniva contestato di aver conseguito redditi diversi non dichiarati risultanti dalle movimentazioni bancarie, in base ll’articolo 32 del Dpr 29 settembre 1973, e agli articoli 600 e 51 del Dpr 26 ottobre 1972, numero 633.

La Commissione tributaria provinciale ha respingeto il ricorso della contribuente, ritenendo che la possibilità di contestare l'esistenza di redditi diversi in forza delle accertate movimentazioni bancarie fosse di portata generale e quindi ammissibile anche per la contribuente in questione, avente redditi da lavoro dipendente e non da lavoro autonomo o redditi d'impresa. Esito confermato in appello, ove la Commissione tributaria regionale ha aderito alla ricostruzione del giudice di primo grado, atteso che in tali casi spetta al contribuente l'onere di provare la provenienza del reddito e quali siano gli elementi che lo caratterizzano, ossia se già tassato o non soggetto a tassazione.

Nel susseguente ricorso per Cassazione, la contribuente ha denunciato violazione degli articoli 1, 6, 8 e 67 del Dpr 22 dicembre 1986, numero 917 e degli articoli 32, 38 e 42 del Dpr 600/1973 in quanto sarebbe illegittimo il principio secondo cui l'ufficio non è tenuto a indicare e motivare la scelta di inserire l'operazione finanziaria contestata mediante indagini finanziarie all'interno di una delle categorie reddituali previste e disciplinate dal Tuir, specie ove la parte non sia titolare di reddito di lavoro autonomo né di reddito di impresa.


La decisione - Ma neanche dopo la doppia conforme di merito, l'insistenza della contribuente in sede di legittimità ottiene esito favorevole, in quanto con l'ordinanza 104/2019, la Suprema corte – nel respingerne il ricorso - afferma che l'accertamento tributario fondato sui movimenti bancari di un lavoratore dipendente deve considerarsi legittimo, in quanto si tratta di una presunzione di carattere generale che si applica anche ai soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi.
In particolare, sul punto controverso, la sezione tributaria ha precisato che il contribuente ha l'onere di superare la presunzione posta dagli articoli 32, comma 1, numero 2, del Dpr 600/1973 (in tema di imposte sui redditi) e 51, comma 2, numero 2, del Dpr 633/1972 (in materia di Iva), dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili (Cassazione, 3 maggio 2018, numero 10480). In base alle richiamate disposizioni, infatti, dati ed elementi attinenti ai rapporti e alle operazioni acquisiti e rilevati in tema di indagini finanziarie, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili.
Nel caso in esame la dimostrazione dell'estraneità delle operazioni bancarie a fatti imponibili non risulta avvenuta, senza che assuma alcuna rilevanza la sua qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore, dato che la presunzione legale relativa alla prima parte dell'articolo 32, comma 1, numero 2, del Dpr 600/1973, trova applicazione anche a soggetti diversi dagli imprenditori e dai lavoratori autonomi in virtù della portata generale del disposto normativo.
Ed infatti, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari (cui fa riferimento la prima parte del comma 1, numero 2, dell'articolo 32 del Dpr 600/1973) assumono sempre rilievo ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, se il titolare dei conti non fornisce adeguata giustificazione, ai sensi dell'articolo 32, poichè questa previsione e quella di cui all'articolo 38 del Dpr 600 hanno portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell'attività svolta e dalla quale quei redditi provengano.
Nè può dedursi l'applicabilità dell'articolo 32 ai soli soggetti che esercitino attività di impresa o di lavoro autonomo dal riferimento testuale della disposizione ai «ricavi» ed alle «scritture contabili», in quanto il dato letterale risulta limitativo unicamente della possibilità per l'ufficio di desumere reddito dai «prelevamenti», giacchè non può presumersi in via generale e per qualsiasi contribuente la produzione di un reddito da una spesa, a differenza che per imprenditori o lavoratori autonomi, per i quali, invece, le spese non giustificate - detratti i relativi costi comprovati dal contribuente -possono ragionevolmente ritenersi costitutive di investimenti. L'utilizzo dei termini suddetti non può, dunque, in alcun modo impedire all'ufficio di desumere per qualsiasi contribuente che i "versamenti" operati sui propri conti correnti, e privi di giustificazione, costituiscano reddito, dovendosi ritenere tale attività accertativa pienamente consentita dalla norma in esame e assolutamente ragionevole (Cassazione 13 maggio 2011, numero 10578; 27 settembre 2011, numero 19692).
Né l'ufficio erariale ha alcun obbligo di individuare (e, quindi, di provare) la fonte di produzione del reddito e, di conseguenza, di specificare quale delle fattispecie indicate nel Dpr 917/1986 sia produttiva dello stesso (Cassazione 2 luglio 2014, numero 15050).
Sicché non avendo la contribuente offerto prova alcuna idonea a superare la presunzione di cui all'articolo 32 del Dpr 600/1973, la pretesa della medesima relativa all'asserita necessità di individuazione della fonte di derivazione dei redditi "diversi" non dichiarati si palesa assolutamente carente di interesse giuridico in quanto le somme movimentate in detti conti conservano sempre la presunzione della loro natura reddituale, dal momento che il contribuente non ha fornito la prova, su di lui incombente, della natura non reddituale delle stesse, ovvero del legittimo loro assoggettamento a precedente prelievo fiscale (Cassazione 25 gennaio 2006, numero 1439).

Precedenti giurisprudenziali recenti - La suddetta interpretazione ha trovato conferma, da ultimo, nella decisione 11 gennaio 2018, numero 552, nella quale la Corte di cassazione ha affermato che «è legittimo l'avviso di accertamento notificato dalle Entrate al contribuente, anche non esercitante attività di impresa, e fondato sulle movimentazioni bancarie e non giustificate dallo stesso contribuente».
Richiamando specifici precedenti (Cassazione 23 aprile 2007, numero 9573; 13 ottobre 2011, numero 21132; 10 dicembre 2014, numero 26000; 10 dicembre 2014, numero 26018; 16 giugno 2017, numero 15018), la Corte ha precisato che l'utilizzazione dei dati acquisiti presso le aziende di credito non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d'impresa: infatti, se non viene contestata la legittimità dell'acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l'esistenza di una eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l'onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti.

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