Responsabilità disciplinare, sanzione solo se l’illecito è «tracciato» con certezza
Non è sanzionabile sul piano disciplinare il
Con questa conclusione, abbastanza discutibile, la Corte di cassazione - sentenza 20118 del 16 agosto – solleva da responsabilità disciplinari un dipendente che aveva pagato la pensione a unparente di una persona defunta, senza effettuare le verifiche previste dalle regole aziendali. La Corte di legittimità, in particolare, ha confermato la decisione con la quale la Corte d’appello aveva ritenuto esente da conseguenze disciplinari il lavoratore in quanto non era stata acquisita con certezza la prova dell’effettiva responsabilità del medesimo in merito all’illecito.
La mancata prova, secondo la Corte d’appello, scaturiva dal fatto che su ogni postazione di lavoro, una volta avviata la registrazione di un dipendente, si alternavano di fatto diversi lavoratori, con la conseguenza che non vi era certezza sull’effettiva titolarità di una singola operazione effettuata allo sportello.
La Cassazione ritiene immune da vizi logici questa ricostruzione, partendo dall’assunto che il vizio di omessa o insufficiente motivazione è configurabile solo qualora dal ragionamento del giudice emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una decisione differente, oppure quando si possa evidenziare l’oggettiva carenza, nel complesso della pronuncia, del procedimento logico che ha seguito la Corte per formare il proprio convincimento.
In mancanza di questi elementi, osservano i giudici di legittimità, il ricorso per Cassazione si risolve nella semplice richiesta di una diversa valutazione di merito, del tutto inammissibile in sede di legittimità.
Nel caso in questione, la Corte evidenzia che la sentenza di appello, con una decisione fondata su argomenti congrui ed equilibrati, aveva riscontrato l’esistenza di una prassi consolidata secondo la quale il codice identificativo di uno specifico dipendente veniva utilizzato anche dai colleghi, che accedevano alla stessa postazione senza cambiare il codice identificativo.
La stessa sentenza d’appello aveva ritenuto irrilevante l’esistenza di una circolare aziendale con la quale veniva vietata tale prassi; secondo i giudici di appello, rispetto a questa circolare aveva prevalenza la concreta organizzazione dell'ufficio.
La sentenza n. 20118/17 della Corte di cassazione