Restituzione della liquidazione anticipata della Naspi costituzionalmente legittima
L'articolo 8 del Dlgs 22/2015, in materia di indennità di disoccupazione Naspi, consente all'avente diritto la liquidazione anticipata, in unica soluzione, dell'importo complessivo del trattamento spettante, e che non risulta ancora erogato, a titolo di incentivo all'avvio di un'attività autonoma e d'impresa individuale o per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio. Si tratta di una norma chiaramente finalizzata ad incentivare l'iniziativa autonoma individuale, quale forma alternativa rispetto al lavoro dipendente e attenuare così la pressione sul mercato del lavoro.
Tale incentivo è però condizionato, in modo molto naturale, all'assenza di attività di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per il quale è riconosciuta la prestazione. In caso contrario, infatti, per una ragione logica prima che giuridica, viene meno il presupposto dell'incentivo, con la conseguenza che il lavoratore dovrà restituire per intero la somma anticipata.
La questione prospettata all'attenzione della Corte costituzionale 14 ottobre 2021, n. 194, riguarda la legittimità di tale disposizione, nel caso di un lavoratore che abbia ottenuto tale incentivo (e che abbia intrapresa un'attività imprenditoriale), salvo poi per un periodo limitatissimo (tre giorni) aver instaurato un rapporto di lavoro subordinato con un'altra società, percependo una retribuzione complessiva di importo esiguo.
Da un punto di vista formale, è stato integrato il requisito che la norma indica come ostativo all'attribuzione dell'incentivo, e quindi l'Inps ha ritenuto di dover richiedere la restituzione dell'intera somma. Il giudice a quo ritiene tuttavia che questa interpretazione (obbligata) ponga la norma in dubbio di legittimità costituzionale, considerata la durata del rapporto di lavoro subordinato (tre giorni) e la sostanziale assenza di vanificazione degli scopi per cui l'incentivo è stato attribuito (il lavoratore esercita e ha continuato a esercitare attività imprenditoriale). Vi sarebbe insomma una evidente sproporzione tra l'obbligo di restituzione dell'intera cifra, contemplato dalla norma, e l'esigenza che tale incentivo sia utilizzato per pratiche elusive o finalità diverse rispetto a quelle sottese alla disposizione in esame: con la conseguenza che assumerebbe natura di sanzione del tutto eccessiva e incongrua rispetto al comportamento del lavoratore e alla sua effettiva valenza elusiva.
Secondo la Corte costituzionale (con la pronuncia in commento: n. 194/2021) l'obbligo restitutorio è del tutto coerente con la finalità antielusiva, ed è volto ad evitare che le somme attribuite siano distolte da quella finalità imprenditoriale per la quale sono state previste.
Il fatto di avere svolto attività di lavoro subordinato, sia pure per un brevissimo lasso di tempo, nell'ambito del periodo in cui sarebbe stata erogata la prestazione periodica, testimonia la sostanziale non genuinità dell'intera operazione, e quindi la mancanza di effettività e di autenticità dell'attività imprenditoriale attivata. Insomma, secondo la Consulta, una volta intrapresa la strada del lavoro autonomo o d'impresa, non vi può essere alcuno spazio per attività, sia pure minima, di lavoro subordinato.
L'obbligo restitutorio dunque non va inteso come sanzione ma come una conseguenza dell'avveramento di una condizione negativa, indicativa dell’insufficienza del presupposto per l'erogazione della prestazione anticipata, rappresentato dall'inizio e dalla prosecuzione di un'attività imprenditoriale autonoma. Non può essere chiesta all'Inps una valutazione, caso per caso, della eventuale compatibilità tra attività di lavoro subordinato e mantenimento dell'attività imprenditoriale.
Si tratta di un giudizio ex ante che prescinde da ogni implicazione in ordine all'entità del lavoro subordinato, o della retribuzione, e alle modalità di svolgimento dell'attività di lavoro subordinato. È stata una scelta discrezionale del legislatore, non irragionevole, quella di conformare l'obbligo restitutorio alla semplice ricorrenza di una attività di lavoro subordinato (anche se la Corte ammette che il legislatore potrebbe tranquillamente, con scelta non meno ragionevole, adottare criteri o parametri volti a introdurre una maggiore elasticità in chiave, ad esempio, di compatibilità tra svolgimento dell'attività di lavoro subordinato di modesta entità con il godimento della Naspi in via periodica).
In ogni caso, il vincolo cui è tenuto il lavoratore (la durata del trattamento) non pare di natura eccessivamente gravosa, essendo parametrato alla durata della Naspi altrimenti spettante ed essendo soprattutto collegato a una fattispecie di attività lavorativa in fondo limitata (il lavoro subordinato) e facilmente evitabile, potendo comunque il lavoratore svolgere in tale periodo attività lavorativa non immediatamente riconducibile alla fattispecie di lavoro subordinato (ad esempio, lavoro autonomo).
La Corte, comunque, lascia aperto uno spiraglio, non mancando di raccomandare al legislatore l'individuazione di soluzioni più opportune, capaci di evitare eccessive rigidità, a fronte di situazioni (come quella da cui ha avuto origine il giudizio) nelle quali effettivamente si può dubitare dell'idoneità della durata del rapporto di lavoro subordinato a incidere sull'effettività e sulla continuità dell'esercizio dell'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale.