Sì al recupero di sgravi contributivi in seguito ad atti di rettifica Inps
L'Inps è legittimato a compiere atti di verifica, di rettifica e di valutazione di situazioni giuridiche preesistenti, e ad annullare d'ufficio, con effetto ex tunc, qualsiasi provvedimento che risulti adottato in contrasto con la normativa vigente
L'ordinanza della Cassazione, sezione lavoro, 36846 del 15 dicembre 2022, pur nella sua sintesi, ricorda alcuni principi di fondamentale importanza in merito ai rapporti tra provvedimenti di autotutela dell'Inps, procedimento di rilascio del Durc e diritto agli sgravi contributivi.
La vicenda riguarda l'emissione da parte dell'Istituto di un avviso di addebito per il recupero di crediti contributivi, senza il previo annullamento d'ufficio di un Durc già rilasciato per i mesi in contestazione. Tale circostanza, a parere dell'azienda interessata, avrebbe precluso all'Inps il recupero di sgravi indebitamente fruiti, in relazione a tale periodo, in assenza peraltro di un invito a regolarizzare la propria posizione, come previsto dall'articolo 7, comma 3 del d.m. 24 ottobre 2007 in materia di Durc.
La Sezione Lavoro, nella decisione della questione, sente l'esigenza di ricordare un principio valevole in tutte le situazioni che riguardano in generale i rapporti tra amministrazioni pubbliche e cittadino, e che, a maggior ragione, interessano le delicate vicende relative agli obblighi contributivi e alle ipotesi di benefici contributivi stabiliti per legge, per l'accesso ai quali, come è noto, è necessario il possesso della regolarità contributiva.
In particolare, si ribadisce che in forza del potere di autotutela spettante, in via generale, alle amministrazioni pubbliche, l'Inps è legittimato a compiere atti di verifica, di rettifica e di valutazione di situazioni giuridiche preesistenti, nonché ad annullare d'ufficio, con effetto ex tunc, qualsiasi provvedimento che risulti ab origine adottato in contrasto con la normativa vigente, ivi compreso quello concernente la fruizione di uno sgravio contributivo; consegue all'esercizio di tale potere quello di provvedere all'eliminazione degli effetti del precedente atto illegittimo mediante il recupero dei contributi indebitamente non corrisposti dal soggetto obbligato, senza che a ciò sia d'ostacolo la buona fede del debitore, essendo irrilevanti gli atteggiamenti psicologici nello svolgimento del rapporto previdenziale, completamente governato dalla legge e soggetto ad un regime pubblicistico, salvo che sia la legge stessa a disporre, in via d'eccezione, diversamente (Cassazione 12466/1991, 5088/1995, 1399/2000).
Il rapporto contributivo riceve la sua regolamentazione e normazione direttamente dalla legge, per cui eventuali determinazioni assunte dall'ente anche eventualmente in violazione di norme procedimentali, non hanno conseguenze sul piano obbligatorio, ossia non hanno effetti sulla sussistenza dell'obbligo contributivo. In questo quadro, le iniziative degli enti volte al recupero di contributi che, in precedenza, erano ritenuti non dovuti in precedenti determinazioni non sono riconducibili al fenomeno dell'autotutela (Cassazione 256/2001). Sotto questo profilo, come già ricordato dalla giurisprudenza della Cassazione (in relazione al rapporto con il verbale di accertamento ispettivo: Corte Cassazione 19157/2021, 19158/2021), il principio sopra descritto non può trovare deroghe nemmeno in relazione all'articolo 10 della legge 212/2000 (affidamento del contribuente), dal momento che tale ultima norma – se anche ritenuta applicabile alle obbligazioni contributive – deve arrestarsi a fronte del principio di indisponibilità di questo tipo di obbligazione, della sua irrinunciabilità e quindi dell'impossibilità di attribuire effetti vincolanti alle determinazioni dell'ente concernenti la sussistenza e la misura dell'obbligazione, pena altrimenti la violazione del principio della riserva di legge di cui all'articolo 23 Costituzione (Cassazione 16865/2020).
Il fatto, dunque, che l'Inps non abbia provveduto a segnalare eventuali irregolarità ostative al rilascio del Durc, non determina l'inesigibilità delle differenze contributive rispetto agli sgravi, perché ciò che conta è l'assenza sostanziale di regolarità contributiva. La violazione di obblighi procedimentali può semmai comportare un'eventuale responsabilità risarcitoria, ma solo ove sia causalmente collegata rispetto all'impedimento creato al realizzarsi della fattispecie sanante e abbia quindi fatto perdere all'azienda l'opportunità di fruire degli sgravi regolarizzando per tempo la situazione debitoria (Cassazione 24854/2022). Peraltro, la pronuncia in commento (Cassazione 36846/2022) si pone in sostanziale continuità con quell'orientamento secondo cui, in presenza di oggettive irregolarità contributive, non è consentito l'accesso ai benefici contributivi, anche se l'Inps, in sede di indicazione delle irregolarità da sanare entro il termine di 15 giorni (articoli 6 e 7 del d.m. 27 del 24 ottobre 2007), non sia riuscito ad individuare e comunicare all'azienda con precisione in che cosa queste irregolarità effettivamente consistano (Cassazione 27107, 27108 e 27109 del 25 ottobre 2018).