Uscite incentivate sostenute dalla Naspi
Tra le eccezioni al divieto di licenziamento, previste dal decreto Agosto (Dl 104/2020, articolo 14), ve n’è una che può avere particolare interesse per le imprese che si trovino a dover gestire, con urgenza, una già conclamata situazione di esubero. È la possibilità di stipulare, con le «organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale» un «accordo collettivo aziendale (...) di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro», al quale faccia seguito l’adesione individuale dei lavoratori interessati. A costoro viene riconosciuta la Naspi, normalmente esclusa in caso di cessazione volontaria del rapporto di lavoro, al di fuori dell’ipotesi della risoluzione avvenuta nella conciliazione preventiva per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo dei dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015 (articolo 7 della legge 604/1966).
A ben vedere, non si tratta di licenziamenti, ma di risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro raggiunte con la “benedizione” sindacale, alle quali il legislatore riconosce il beneficio della Naspi. Il che non è cosa da poco, dal momento che le risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro, pur sempre possibili anche in costanza del blocco dei licenziamenti, erano per così dire “frenate”, anche in presenza di incentivi, proprio dalla impossibilità di accedere alla Naspi.
Si può ritenere pacifico che per raggiungere l’accordo aziendale non serva attivare alcuna specifica procedura, tantomeno la procedura di licenziamento collettivo prevista dalla legge 223/1991, preclusa dalla norma stessa.
Non c’è neppure un limite per il personale interessato all’incentivazione, che potrà essere anche inferiore a quattro. Si tratta, per espressa disposizione, di accordo collettivo aziendale, e sono quindi esclusi contratti collettivi di diverso livello, nazionali o territoriali. Tuttavia i soggetti stipulanti sembra non possano essere (solo) le Rsu/Rsa, come pure sarebbe stato logico aspettarsi per un accordo di livello aziendale. La norma fa riferimento alle «organizzazioni sindacali», e non alle loro rappresentanze in azienda. Quindi il coinvolgimento delle organizzazioni esterne sembrerebbe imprescindibile. Organizzazioni sindacali esterne che, per la validità dell’accordo, dovranno rientrare tra quelle «comparativamente più rappresentative a livello nazionale». Il che ripropone il controverso dibattito sulla rappresentatività sindacale. La sottoscrizione da parte delle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale applicato in azienda dovrebbe porre al riparo da problemi. Non sembra necessario che a firmare siano rappresentanti sindacali di livello nazionale, potendosi stipulare l’accordo con le articolazioni territoriali delle organizzazioni dotate del requisito di rappresentatività nazionale. Pretendere il contrario sarebbe eccessivo.
Si pone tuttavia il tema della validità di accordi collettivi “separati”, sottoscritti cioè ad esempio da una sola organizzazione sindacale, pur rappresentativa. Una questione delicata che non mancherà di suscitare dibattito. Prudenza vuole che in questa fase si ricerchi, ove possibile, un consenso che possa essere ritenuto “maggioritario”.
Sul contenuto dell’accordo la legge nulla dice, se non che debba prevedere la possibilità di arrivare a risoluzioni consensuali incentivate con i lavoratori che intendano farlo. Una sorta di “autorizzazione” di fonte collettiva a procedere a risoluzioni consensuali individuali. È prevedibile tuttavia che le organizzazioni sindacali vogliano entrare nel merito dell’incentivo da riconoscere e delle tempistiche e modalità degli accordi risolutivi.
Dal punto di vista aziendale, nel redigere l’accordo occorrerà porre particolare attenzione a due punti:
circoscrivere attentamente il perimetro dei destinatari della proposta di incentivazione, o meglio ancora riservarsi la possibilità di accettare o meno la disponibilità alla risoluzione consensuale, per evitare il rischio di uscite incontrollate di personale necessario;
chiarire che l’accordo sulle uscite volontarie incentivate non è necessariamente risolutivo delle eventuali problematiche di esubero, che potrebbero (quando sarà possibile) essere affrontate con gli strumenti ordinari.
Quanto agli accordi di risoluzione individuali, la norma non richiede forme particolari, limitandosi a parlare di “adesione” all’accordo collettivo. Non è quindi di per sé necessario che siano sottoscritti in sede protetta (articolo 2113 comma 4 del Codice civile). Tuttavia, se le risoluzioni consensuali si accompagnano, come accade pressoché sempre nella pratica, a una transazione generale che precluda ogni possibile futura rivendicazione, la sede protetta si impone per la validità di quest’ultima (e consente anche di risolvere in radice il problema dell’ applicazione della procedura telematica di risoluzione consensuale prevista dall’articolo 26 del Dlgs 151/2015).