Contenzioso

Distacco e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Licenziamento ingiurioso
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Sicurezza sul lavoro e responsabilità del datore
Distacco e licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Licenziamento disciplinare del dirigente

Licenziamento ingiurioso

Cass. Sez. Lav. 27 febbraio 2019, n. 5760

Pres. Di Cerbo; Rel. Boghetich; Ric. G.B e M.G.; Controric. O.F.

Lavoro subordinato - Licenziamento individuale - Risarcimento del danno - Licenziamento ingiurioso - Modalità offensive del recesso - Forme di pubblicità ingiustificate e lesive - Necessità - Fattispecie.

Il licenziamento ingiurioso o vessatorio, lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore, che dà luogo al risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di particolari forme ingiustificate e lesive di pubblicità date al provvedimento, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio.
NOTA
Nella sentenza in commento, la Suprema Corte definisce i connotati essenziali del licenziamento ingiurioso.
Nel caso de quo, il dipendente di una farmacia veniva licenziato disciplinarmente quale preteso «responsabile di un ammanco di cassa (...) di Euro 29.444,24», integrante una condotta penalmente rilevante.
All'atto di consegna al lavoratore della lettera di contestazione - con cui si disponeva, altresì, la sospensione cautelare dello stesso - presenziava l'avvocato di fiducia del datore.
Il dipendente contestava giudizialmente la legittimità del recesso, lamentando tanto la genericità quanto l'ingiuriosità della contestazione.
Il Giudice di prime cure dichiarava l'illegittimità del recesso - per genericità della contestazione - nonché la sua ingiuriosità.
La Corte territoriale confermava l'illiceità del licenziamento, escludendone, tuttavia, l'ingiuriosità. Segnatamente, i Giudici d'appello rilevavano che «la mera presenza dell'avvocato di fiducia al momento della consegna della lettera di contestazione (la fattispecie è frequente nella prassi alla luce dell'eventuale rifiuto di sottoscrivere la predetta consegna ed altre problematiche similari) o anche l'eventuale cognizione da parte dello stesso del contenuto, non concreta di per sè ingiuriosità». Analogamente - soggiungeva la Corte del merito - «il mero allontanamento dal luogo di lavoro, ove anche in una struttura di ristrette dimensioni percepibile dai colleghi, è conseguente alla disposta sospensione cautelare e non concreta, di per sé solo, le particolari modalità ingiuriose richieste dal diritto vivente».
Il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione, dolendosi, tra il resto, di una pretesa violazione e falsa applicazione di legge per aver i Giudici del merito negato la natura ritorsiva del recesso.
Il Supremo Collegio respinge il ricorso, rammentando, anzitutto, che «il licenziamento ingiurioso o vessatorio, lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore, che dà luogo al risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di particolari forme ingiustificate e lesive di pubblicità date al provvedimento, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio».
Così fissato il principio di diritto, i Giudici di legittimità ritengono che la Corte d'appello ne abbia fatto corretta applicazione, statuendo che la condotta del datore non fosse affatto ingiuriosa, essendosi mantenuta nell'ambito degli usuali canoni comportamentali tipici della fase di estinzione del rapporto di lavoro.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Cass. Sez. Lav. 20 febbraio 2019, n. 4946

Pres. Bronzini; Rel. Balestrieri; Ric. C.E.; Controric. D.S.P.A.;

Lavoro subordinato – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Requisiti – Sussistenza di un andamento economico aziendale negativo – Irrilevanza

Ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa
NOTA
La decisione in commento riguarda i requisiti del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con particolare riferimento alla rilevanza della situazione economica negativa dell'azienda datrice di lavoro.
La lavoratrice, licenziata per giustificato motivo oggettivo consistente nella soppressione del ruolo di HR Generalist Automation dalla stessa ricoperto, aveva convenuto in giudizio la società datrice di lavoro deducendo l'illegittimità del recesso, tra l'altro, per mancanza del dedotto giustificato motivo e per violazione dell'obbligo di repêchage. Il ricorso della lavoratrice veniva rigettato tanto in primo grado quanto in appello. In particolare, la Corte d'Appello di Bologna aveva rilevato la sussistenza di una crisi economica aziendale che avrebbe comportato uno snellimento della struttura e la soppressione del posto della lavoratrice, ritenendo peraltro provata l'insussistenza di altre posizioni cui utilmente adibire la stessa.
Contro tale decisione della Corte d'Appello proponeva ricorso per Cassazione la lavoratrice, sulla base di vari motivi, sostanzialmente consistenti nell'insussistenza della crisi aziendale e nel fatto che la sentenza aveva erroneamente ritenuto sussistente il giustificato motivo addotto dalla società datrice, senza considerare l'insussistenza delle ragioni addotte e il mancato assolvimento dell'obbligo di repêchage.
La Suprema Corte ha accolto le censure della lavoratrice rilevando, da una parte, che la effettiva sussistenza della crisi aziendale fosse irrilevante nel caso di specie, dall'altra l'insufficienza dell'accertamento operato dalla Corte territoriale in merito alla sussistenza delle ragioni fondanti il licenziamento.
In particolare, quanto al primo profilo, la Cassazione ha ribadito un suo costante orientamento a mente del quale «ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa».
Quanto al secondo profilo, però, la Suprema Corte ha rilevato che la prova della sussistenza delle ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro che abbiano determinato un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa grava interamente sul datore di lavoro e che, nel caso di specie, l'accertamento operato dalla Corte in merito a tali ragioni e ai relativi elementi forniti dall'azienda fosse inadeguato.
Lo stesso è stato rilevato in relazione all'obbligo di repêchage, in merito al quale la Corte territoriale ha, a giudizio della Cassazione, erroneamente fatto gravare il relativo onere probatorio sulla lavoratrice e non sulla società datrice.
In virtù di quanto sopra il ricorso è stato accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Bologna in diversa composizione.

Sicurezza sul lavoro e responsabilità del datore

Cass. Sez. Lav. 15 febbraio 2019, n. 4613

Pres. Di Cerbo; Rel. Cinque; P.M. Sanlorenzo; Ric. A. S.p.A.; Controric. M.M. + 3;

Lavoro subordinato – Diritti ed obblighi del datore e del prestatore di lavoro – Tutela delle condizioni di lavoro - Responsabilità ex art. 2087 c.c. - Condizioni - Adozione di tutte le cautele necessarie a tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore - Necessità - Fattispecie relativa ad inalazione di polveri di amianto.

La responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio.
NOTA
La Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava una società di autotrasporti a pagare agli eredi di un lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico somme a titolo di risarcimento dei danni biologico e morale iure hereditatis e iure proprio.
L'istruttoria espletata aveva infatti accertato che, a causa delle mansioni svolte tra il 1974 e il 1994, il lavoratore era stato esposto in maniera continuativa alla inalazione di fibre di amianto senza che il datore di lavoro avesse al riguardo adottato alcuna idonea cautela per evitarlo.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la società.
In particolare, con il primo motivo di ricorso, la società censura la sentenza impugnata per non avere la Corte territoriale tenuto conto del principio secondo il quale non sussiste una responsabilità del datore di lavoro se non nel caso in cui questi, con comportamenti specifici ed anomali, da provarsi volta per volta, abbia determinato un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell'attività che il lavoratore è chiamato a svolgere. La società sostiene inoltre che, nel periodo 1974-1994 non era presente nell'ordinamento alcuna norma specifica che imponesse di impedire l'esposizione all'inalazione di fibre di amianto e che, comunque, i comuni presidi utilizzati all'epoca dei fatti di causa non avrebbero potuto prevenire tale esposizione.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato tale motivo, ricordando il principio secondo cui «la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, tuttavia non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico» (Cass. n. 2491 del 2008; Cass. n. 644 del 2005 e Cass. n. 10510 del 2004).
La Corte ha inoltre ricordato che, nell'ambito di tale responsabilità contrattuale, grava sul lavoratore l'onere di dedurre e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno e del nesso di causalità tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro è tenuto a provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, pertanto, di avere correttamente adempiuto all'obbligo di sicurezza, adottando tutte le misure per evitarlo (in questo senso: Cass. n. 13533 del 2001 e Cass. n. 21590 del 2008).
Nel caso in esame era invece stato accertato che, all'epoca dei fatti, era noto il rischio da inalazione di polveri di amianto, tanto più che l'art. 21 del D.P.R. n. 303 del 1956 prevedeva particolari cautele dirette a prevenire il rischio di malattie respiratorie connesse all'inalazione di polveri, anche di amianto, e che, ciononostante, la società aveva omesso di adottare le cautele che avrebbero evitato l'esposizione del lavoratore, in maniera continuativa, all'inalazione delle stesse.
Sulla scorta di tali considerazioni il ricorso della società è stato rigettato.

Distacco e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Cass. Sez. Lav. 28 febbraio 2019, n. 5996

Pres. Nobile; Rel. Boghetich; Ric. O.M.; Controric. P.

Lavoro subordinato - Licenziamento individuale - Giustificato motivo obiettivo - Licenziamento del lavoratore distaccato - Presupposti - Cessazione dell'interesse al distacco o soppressione del posto presso la società distaccata - Sufficienza - Esclusione - Prova dell'impossibilità di repêchage presso la propria azienda – Necessità.

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore distaccato presso un terzo, gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo devono essere verificati con riferimento all'ambito aziendale del datore di lavoro distaccante, sul quale ricade anche l'onere di provare, con riguardo all'organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento, l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore a mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, con la conseguenza che non è sufficiente ad integrare il giustificato motivo oggettivo di licenziamento la mera cessazione dell'interesse al distacco o la soppressione del posto presso il terzo distaccato.
NOTA
Nel caso di specie, un lavoratore aveva impugnato il licenziamento per giustificato motivo intimatogli dal suo datore di lavoro mentre era distaccato presso una società appartenente al medesimo gruppo della società distaccante.
La Corte d'Appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo in quanto ha ritenuto dimostrati sia la crisi aziendale concernente la società datrice di lavoro e la distaccataria, sia la riduzione di personale, attuata mediante una riorganizzazione della società datrice di lavoro.
Il lavoratore ha proposto avverso tale sentenza ricorso per cassazione lamentando in particolare «violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966, 5 della legge n. 223 del 1991, 1175, 1375, 2697 cod. civ. nonché vizio di motivazione avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il lavoratore vantava un'anzianità di servizio e carichi di famiglia maggiori di un altro dipendente e che, pertanto, erano stati dedotti criteri di scelta e, comunque, i criteri di buona fede e correttezza».
La Corte di Cassazione preliminarmente ha ricordato che i criteri di scelta previsti dalla legge n. 223 del 1991 per i licenziamenti collettivi non si applicano automaticamente ai licenziamenti individuali plurimi, né risultano applicabili i criteri di buona fede e correttezza a dipendenti appartenenti a datori di lavoro diversi, società giuridicamente distinte seppur appartenenti al medesimo gruppo societario.
La Corte di legittimità ha quindi rigettato il ricorso affermando che «in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore distaccato presso un terzo, gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo devono essere verificati con riferimento all'ambito aziendale del datore di lavoro distaccante, sul quale ricade anche l'onere di provare con riguardo all'organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento, l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore a mansioni diverse da quelle che svolgeva prima, con la conseguenza che non è sufficiente ad integrare il giustificato motivo oggettivo di licenziamento la mera cessazione dell'interesse al distacco o la soppressione del posto presso il terzo distaccato». Oltre a ciò, ha sottolineato che «il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debba estendere anche all'altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro».
La Corte conclude rilevando che nel caso di specie la sentenza impugnata «ha correttamente proceduto all'accertamento relativo alle ragioni organizzative-produttive che hanno determinato il licenziamento del ricorrente rilevando di aver conseguito la prova della crisi aziendale della società (distaccante) datrice di lavoro del lavoratore, della conseguente riduzione del personale, della soppressione del ruolo svolto dal ricorrente e della creazione di una nuova figura di responsabile la cui nomina era appannaggio di un'altra società del gruppo, gruppo societario che non è stato configurato come centro unico di imputazione di interessi».

Licenziamento disciplinare del dirigente

Cass. Sez. Lav. 18 febbraio 2019, n. 4685

Pres. Napoletano; Rel. Patti; P.M. Celentano; Ric. B.N.; Contr. GSE S.p.A.;

Dirigente – Licenziamento disciplinare – Ragioni oggettive che non consentono la prosecuzione del rapporto – Non necessità.

La giustificatezza del licenziamento, tipica della categoria dirigenziale, ben può fondarsi, per la particolare natura del rapporto di fiducia, su ragioni oggettive non necessariamente coincidenti con l'impossibilità di continuazione del rapporto, ma semplicemente idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l'ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente, purché apprezzabili sul piano del diritto, senza necessità di un'analitica verifica di specifiche condizioni, per la sufficienza di una valutazione globale, che escluda l'arbitrarietà del recesso.
Dirigente – Licenziamento disciplinare – Garanzie procedimentali ex art. 7, commi 2 e 3, l. n. 300/1970 – Necessità – Mancata adozione – Conseguenze: licenziamento ingiustificato.
Il licenziamento per giusta causa del dirigente esige la formulazione di una preventiva contestazione allo scopo di tutelare il diritto di difesa del lavoratore. Pertanto, la giustificatezza del recesso può essere esclusa anche per la mancata adozione delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7, commi 2 e 3, l. n. 300/1970, norma espressione di un principio di carattere generale che si applica anche ai dirigenti.
NOTA
La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava l'ingiustificatezza del licenziamento intimato ad un dirigente, condannando il datore di lavoro al pagamento in suo favore di una somma a titolo di indennità di preavviso e supplementare. La Corte di merito escludeva la illegittimità del licenziamento intimato dalla società sulla base della "giusta causa oggettiva" ipotesi neppure prevista dall'ordinamento, ribadendone la ingiustificatezza.
Avverso tale pronuncia il dirigente propone ricorso per Cassazione denunciando la nullità del recesso intimatogli, per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo il lavoratore denuncia la violazione dell'art. 3, l. n. 97/2001, non avendo la società disposto - prima dell'irrogazione del recesso - la misura cautelare del suo allontanamento dal servizio a seguito dell'indagine attivata nei suoi confronti della Procura della Repubblica di Larino per i fatti che avevano dato luogo al licenziamento.
La Suprema Corte respinge il motivo rilevando che, ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui all'art. 3, l. n. 97/2001 invocato, l'eventuale rinvio a giudizio del dipendente fa sorgere in capo al datore di lavoro pubblico non già l'obbligo bensì il potere discrezionale di allontanare il dipendente dal servizio in attesa della definizione del processo penale. Peraltro nel caso di specie neppure sussisteva il presupposto per l'applicazione della misura cautelare atteso che il dirigente non era stato rinviato a giudizio ma era sempre rimasto nella semplice condizione di indagato (poi prosciolto dal GUP).
Con il secondo motivo, il dirigente deduce la nullità del recesso per insussistenza della "giusta causa oggettiva" come indicata nella comunicazione di licenziamento. La Cassazione respinge anche tale motivo evidenziando che tale ipotesi è assolutamente estranea al nostro ordinamento ma, come adeguatamente rilevato anche dalla Corte di merito, il licenziamento doveva ritenersi ingiustificato e non nullo.
La giustificatezza, tipica della categoria dirigenziale, infatti, ben può fondarsi, per la particolare natura del rapporto di fiducia, su ragioni oggettive non necessariamente coincidenti con l'impossibilità di continuazione del rapporto, ma semplicemente idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l'ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente, purché apprezzabili sul piano del diritto, senza necessità di un'analitica verifica di specifiche condizioni, per la sufficienza di una valutazione globale, che escluda l'arbitrarietà del recesso (Cass. 17 marzo 2014, n. 6110). Correttamente, secondo la Cassazione, nel caso in esame i giudici di merito hanno escluso la giustificatezza del licenziamento, anche per non avere, il datore di lavoro, proceduto alla preventiva contestazione degli addebiti, quindi in violazione delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7, commi 2 e 3, l. n. 300/1970, norma espressione di un principio di generale garanzia fondamentale, a tutela di tutte le ipotesi di licenziamento disciplinare, che trova applicazione anche nell'ipotesi di licenziamento del dirigente (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2553).

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