Contenzioso

Per chi fa attività commerciale e amministra una società non vale sempre il doppio onere contributivo

di Roberta Di Vieto e Marco Di Liberto

La Suprema Corte, con sentenza n. 7311 del 14 marzo 2019, è tornata a pronunciarsi in merito all'assoggettabilità al doppio regime contributivo dei soggetti che svolgano attività commerciale e che ricoprano nel contempo il ruolo di socio ed amministratore di società di capitali ex articolo 1, comma 208, della legge 662/1996.

Più in particolare, la Corte di cassazione, confermando un consolidato orientamento in materia di doppio onere contributivo ex art. 1, comma 208, della Legge 662/1996, come interpretato autenticamente ex art. 1, comma 1, della Legge 122/2010, ha ricordato che a tali fini occorre fornire la rigorosa prova che il soggetto obbligato abbia svolto attività riconducibili sia al commercio che all'amministrazione societaria.

La pronuncia in esame trae origine da un ricorso promosso da un amministratore e socio di una società a responsabilità limitata avverso due cartelle esattoriali emesse dall'Inps, con le quali era stato richiesto il pagamento di contributi previdenziali ed accessori dovuti alla gestione commercianti per gli anni dal 2000 al 2003.
In entrambi i gradi di giudizio era stato accettato che le risultanze istruttorie non avessero comprovato la partecipazione personale, con carattere di abitualità, del socio amministratore alle concrete attività operative aziendali, in quanto era stato unicamente accertato che tale soggetto avesse svolto le funzioni gestorie connaturate al proprio ruolo di socio ed amministratore.

Avverso la decisione di appello l'Inps aveva esperito ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell'art. 1, commi 203 e 208 della Legge n. 662/1996, e deducendo che il Giudice di appello avesse erroneamente ritenuto che l'attività espletata dal socio e amministratore non sostanziasse il requisito previsto dalla lettera c) del comma 203 della predetta legge ai fini dell'assoggettabilità al doppio onere contributivo.

Ad avviso dell'Istituto, la Corte territoriale aveva operato una commistione "inaccettabile" fra le funzioni proprie dell'amministratore e quelle del socio lavoratore, non essendo necessario per la configurabilità della doppia obbligazione contributiva che fosse svolta un'attività prettamente operativa o materiale da parte del soggetto assicurato, poiché, secondo l'Inps, a tali fini sarebbe sufficiente accertare che tale soggetto abbia svolto un'attività di organizzazione e direzione dell'altrui lavoro.

La Corte Suprema, nel disattendere le tesi dell'Istituto, ha aderito all'orientamento consolidatosi attraverso le proprie precedenti sentenze a Sezioni Unite dell'8 agosto del 2011, n. 17074 e 17076, che si erano invero discostate dal precedente orientamento di segno contrario, espresso sempre a Sezioni Unite con sentenza del 12 febbraio 2010, n. 3240.
La Suprema Corte ha così valorizzato l'intervento del legislatore che, con l'art. 12, comma 11, del D.L. 31 maggio 2010 (convertito in legge n. 122/2010, norma di interpretazione autentica), aveva sancito che l'art. 1, comma 208, della legge 662/1996 si interpreta nel senso che le attività autonome per le quali opera il principio della selezione dell'assicurazione obbligatoria secondo il criterio della prevalenza, dovessero essere quelle esercitate in forma d'impresa dai commercianti, artigiani e coltivatori diretti, restando esclusi coloro che sono iscritti alla gestione separata ex art. 2, c. 26 legge n. 335/1995.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha ribadito che, in base alla norma vigente, perché sussista il doppio obbligo contributivo, è necessario fornire la prova che il soggetto obbligato abbia svolto due attività e ruoli coesistenti, uno riconducibile all'amministrazione della società e l'altro relativo all'attività commerciale aziendale, e che ricorrano le seguenti condizioni:
a) il soggetto obbligato sia titolare o gestore in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, o che ricorrano analoghi requisiti organizzativi;
b) tale soggetto abbia la piena responsabilità dell'impresa ed assuma tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione;
c) il soggetto partecipi personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
d) non sia in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o sia iscritto in albi, registri e ruoli.

Inoltre, in merito all'onere della prova circa la sussistenza di tali stringenti requisiti, la Suprema Corte ha rammentato che tale onere grava integralmente ed esclusivamente sull'Istituto previdenziale, e che lo stesso deve essere assolto fornendo la puntuale prova del personale apporto fornito dal soggetto obbligato all'attività di impresa e della diretta ed abituale ingerenza dell'amministratore nel ciclo produttivo.
Nel caso di specie l'Istituto non è riuscito a dimostrare concretamente che l'amministratore avesse svolto l'attività commerciale con quel peculiare carattere di abitualità e prevalenza previsto dalla citata norma, a nulla valendo la mera presunzione della prestazione commerciale dell'amministratore a cui si era ispirato l'Istituto emettendo le cartelle esattoriali impugnate.

La sentenza in esame riveste un indubbio interesse, non solo in quanto riafferma un principio di rilevante impatto pratico in materia di doppia contribuzione previdenziale, ma anche poiché riafferma la necessità che l'onere probatorio in merito alla sussistenza di tali requisiti debba essere rigorosamente assolto dall'Istituto previdenziale, e non possa essere soddisfatto da mere presunzioni, non supportate da fatti concretamente riscontrati e comprovati, né surrettiziamente invertito in capo al soggetto obbligato attraverso affermazioni di principio non suffragate da concrete prove.

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