Non sempre il licenziamento è legittimo nelle ipotesi previste dal Ccnl
La Corte di cassazione, con sentenza 14063 del 23 maggio 2019, è tornata a pronunciarsi sul principio di proporzionalità tra la sanzione espulsiva e l'inadempimento, precisando che il giudice non può esimersi dall'accertamento in concreto della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione adottata, anche nel caso in cui la condotta sia indicata nelle esemplificazioni previste dalla contrattazione collettiva come ipotesi di licenziamento.
Nel caso in esame la lavoratrice è stata licenziata per aver utilizzato impropriamente la carta fedeltà riservata ai dipendenti, per l'acquisto di prodotti a favore di un familiare con indebiti vantaggi.
Il giudice di primo grado ha rigettato l'impugnativa della lavoratrice con decisione poi confermata in Corte d'appello, ravvisando che l'uso improprio della carta, oltre a essere espressamente vietato dal regolamento aziendale, avesse violato gravemente i doveri di correttezza gravanti in capo alla dipendente ed era idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario legittimando il licenziamento.
La Corte di cassazione ha rilevato che nella valutazione della rilevanza disciplinare della condotta i giudici di merito hanno omesso di effettuare una valutazione comparativa tra la condotta tenuta dalla dipendente e le previsioni del contratto collettivo (nel caso di specie quello del settore commercio) che riservano la sanzione espulsiva solamente a ipotesi di ben maggiore livello di intenzionalità ed offensività, tali da integrare ipotesi di reato.
In particolare, la Corte - in linea con l'orientamento consolidato - ha ribadito che la "giusta causa" quale evento che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro integra una "clausola generale" dettata dall'articolo 2119 del Codice civile e, pertanto, richiede di essere concretizzata tramite la valorizzazione di parametri esterni di natura giuridica.
Nell'ambito di tale indagine valutativa il giudice non è vincolato dalle previsioni contenute nel codice disciplinare del contratto collettivo. Infatti, anche qualora la condotta sanzionata corrisponda alla fattispecie tipizzata contrattualmente occorre pur sempre che essa sia riconducibile alla nozione di giusta causa attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione e infrazione, anche sotto il profilo soggettivo della colpa e del dolo.
Conclude la Corte, cassando la sentenza impugnata, che seppure la scala valoriale prevista dalla contrattazione collettiva non possa considerarsi vincolante per le parti e per il giudice, essa costituisce uno dei parametri integrativi di cui tener conto per riempire di contenuto la "clausola generale" dell'articolo 2119 del Codice civile.