Il principio di immutabilità della contestazione vale anche per il giudice
Con la sentenza 10853/19 del 18 aprile scorso la Cassazione è tornata a pronunciarsi sul principio di immutabilità della contestazione disciplinare, principio in virtù del quale i fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio devono coincidere con quelli oggetto di contestazione.
Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva licenziato per giusta causa un dipendente per avere, quale membro della commissione di una gara d'appalto, delegato e demandato a “commissari ombra” l'attività valutativa che, a valle di un accordo illecito, era stata del tutto omessa senza alcuna partecipazione alle sedute della commissione.
La Corte d'appello di Milano - confermando le pronunce rese dal tribunale meneghino sia nella fase sommaria, sia in sede di opposizione – aveva dichiarato la legittimità del licenziamento in quanto, in sede di giudizio, era emersa una circostanza considerata assorbente, ovverosia che il dipendente si era avvalso di consulenti esterni privi di formale nomina, con la conseguenza che «l'accertamento di tale circostanza … era sufficiente, … anche in forza della ragione più liquida della decisione, per concludere circa la legittimità dell'intimato licenziamento».
Dei dodici motivi di ricorso per Cassazione articolati dal dipendente, la Suprema corte ne ha accolto uno, relativo alla violazione e falsa applicazione degli articoli 7 dello Statuto dei lavoratori, 2 della legge 604/66 e 2119 del Codice civile per avere il giudice del gravame violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare, assumendo che il disvalore della condotta del dipendente fosse consistito nell'essersi avvalso, con piena consapevolezza di consulenti esterni alla commissione nominata per le operazioni di gara, laddove, invece, la contestazione si riferiva all'omesso svolgimento del ruolo di commissario e alla falsa attestazione della regolarità delle procedure di gara.
La Cassazione, nell'accogliere tale motivo di ricorso, ha fondato il proprio convincimento sul consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui nel licenziamento disciplinare il principio di immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di licenziare per motivi diversi da quelli contestati.
Richiamato tale principio, ispirato alla regola della necessaria correlazione dell'addebito con la sanzione, la Cassazione ha stabilito, quale logico corollario, come «la medesima correlazione debba essere garantita e presidiata, in chiave di tutela dell'esigenza difensiva del lavoratore, … anche in sede giudiziale, in un contesto in cui il datore di lavoro è chiamato a dare conto dell'avvenuto corretto esercizio del potere disciplinare».
La sentenza n. 10853/19 della Corte di cassazione