Contenzioso

Ritardato pagamento di prestazioni previdenziali e danno risarcibile

di Silvano Imbriaci

La sentenza della Sezione Lavoro 4 febbraio 2016, n. 2217 affronta un tema particolarmente delicato, come quello della risarcibilità delle conseguenze dannose del ritardato pagamento di una prestazione previdenziale da parte dell'ente amministrativo o da parte del datore di lavoro, nelle ipotesi in cui vi sia l'anticipazione (es. malattia o maternità).
Nel caso di specie una lavoratrice aveva chiesto la condanna dell'INPS al risarcimento del danno esistenziale da lei patito per effetto della ritardata corresponsione del trattamento economico di maternità. La fase di merito si era chiusa nel senso di negare che tale adempimento tardivo potesse essere idoneo ad arrecare un danno di quel tipo, collegato all'asserita lesione di diritti inviolabili della persona direttamente tutelati da norme costituzionali (artt. 2, 3, 36, 37 e 38 Cost.).
La Sezione Lavoro 4 febbraio 2016, n. 2217 affronta dunque un tema squisitamente civilistico, come quello dell'ambito e delle modalità risarcitorie del danno esistenziale, muovendosi comunque sempre sullo sfondo di una vicenda legata al ritardato pagamento di prestazioni previdenziali.
Nel nostro ordinamento non è prevista in via autonoma la categoria di danno esistenziale, inteso come il “…pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno” (Cass. Civ. Sez. II, n. 6930/2012). Infatti, secondo una prospettazione consueta, sommaria ma efficace, (e comunque oggetto di continui ripensamenti e rivisitazioni) è possibile affermare che i pregiudizi che riguardano interessi della persona di rango costituzionale sono già coperti dalla tutela dell'art. 2059 c.c., mentre è la stessa norma codicistica ad escludere la configurabilità in un'unica categoria, con tutela generalizzata, dei pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona. Se così è, dunque, il danno esistenziale funziona essenzialmente come criterio di liquidazione del più generale danno non patrimoniale; nelle ipotesi in cui non sia configurabile un fatto-reato (o non vi sia espressa regolamentazione legislativa) occorre che il fatto illecito abbia reso diritti inviolabili della persona, che la lesione sia grave e che il danno non sia futile, ossia sia percepibile ad una soglia maggiore rispetto al mero disagio o al fastidio e che riguardi beni reali e concreti, e non immaginari (come la qualità della vita o la felicità). Non sono cioè meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale; al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale. Dunque, secondo l'interpretazione seguita dalla Cassazione, il mero pregiudizio alla qualità della vita non è di per sé risarcibile, così come non può reputarsi grave ed intollerabile il danno non patrimoniale conseguente al mero ritardo nell'adempimento di una prestazione previdenziale. L'equivoco su cui è caduta la ricorrente nel caso di specie è stato quello di scambiare gli effetti del pregiudizio patrimoniale con il danno in sé. Infatti, le naturali difficoltà economiche indicate come effetto del ritardato pagamento della prestazione previdenziale, possono avere certamente delle conseguenze non solo di ordine patrimoniale ma anche sulla qualità della vita quotidiana. Ma altra cosa è affermare che il ritardato pagamento possa costituire fonte di una intollerabile lesione della dignità umana, circostanza che in astratto, secondo la Corte, può ricorrere solo nel caso in cui venga fornita la prova che tali difficoltà economiche abbiano di fatto impedito in via totalizzante all'assicurata il soddisfacimento di interessi primari (es. la casa, il nutrimento, lo studio ecc….)

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