Srl e rapporto di lavoro subordinato
Nelle società di capitali (alle quali appartiene la società a responsabilità limitata) è più agevole configurare un rapporto di lavoro subordinato in capo al socio non amministratore in virtù sia del fatto che la società di capitali possiede una personalità giuridica distinta da quella del socio, sia della circostanza che delle obbligazioni sociali risponde la società con il suo patrimonio e non i singoli soci. Tale assunto generale (confermato dall’Inps nella circolare 179/1989 e dalla giurisprudenza di legittimità) deve tuttavia essere verificato nella pratica con il riscontro di tutti i requisiti tipici del rapporto di lavoro subordinato (prestazione, retribuzione, subordinazione, assenza di rischio ecc.). Inoltre è necessario che la prestazione lavorativa del socio sia diversa da quella eventualmente svolta in tale qualità (e la relativa remunerazione non deve essere una semplice aggiunta agli utili a lui derivanti dalla sua quota di partecipazione) e sia soggetta alle direttive del socio (o soci) che hanno effettivamente i poteri di amministrazione (es. Cass. 21 giugno 2010 n. 14906; Cass. 16 novembre 2010 n. 23129). Nella fattispecie rappresentata dal gentile lettore, tuttavia, è presente una ulteriore difficoltà, ossia – sembra di capire – il possesso da parte del socio che dovrebbe essere assunto in qualità di lavoratore dipendente della maggioranza assoluta delle quote sociali (il 55%). In tal caso il rapporto di subordinazione del socio di maggioranza potrebbe essere inficiato dal momento che la partecipazione al capitale sociale gli assegnerebbe poteri tali da incidere sulla nomina e revoca degli amministratori e sarebbe confermato il principio di incompatibilità tra la posizione di fatto dominante del socio nell’ambito dell’organizzazione imprenditoriale e la situazione di istituzionale soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Come avrà notato il gentile lettore nella risposta al quesito si è usato il condizionale perché non mancano sentenze della Suprema Corte che hanno riconosciuto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (purché genuino) anche in presenza del possesso da parte del socio lavoratore della maggioranza del capitale sociale. Ad es. si riporta il principio di diritto contenuto nella sentenza Cass. n. 21759 del 17 novembre 2004 (emessa al termine di un contenzioso con l’Inps che appunto negava la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato del socio di maggioranza con la società): "In tema di rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, come non sussiste alcuna incompatibilità di principio tra la qualità di componente (non unico) dell'organo di gestione e quella di lavoratore subordinato della società, deve ritenersi che non vi siano ostacoli alla configurabilità di un siffatto rapporto fra la società e il socio titolare della maggioranza del capitale sociale, neppure quando la percentuale del capitale detenuto corrisponda a quella minima per la validità delle deliberazioni dell'assemblea, attesa la sostanziale estraneità dell'organo assembleare all'esercizio del potere gestorio e non essendo ragionevole considerare di per sé irrilevante, al fine di escludere la subordinazione lavorativa, la partecipazione diretta del lavoratore all'organo investito di un siffatto potere e ritenere invece ostativa la partecipazione indiretta e mediata alle scelte societarie attraverso il potere di nominare i soggetti che hanno il compito di effettuarle, ferma restando, comunque, la non configurabilità di un rapporto di lavoro con la società quando il socio (a prescindere dalla percentuale del capitale posseduto come pure dalla formale investitura a componente dell'organo amministrativo) abbia di fatto assunto, nell'ambito della società l'effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione".