Contenzioso

Denuncia del superiore senza licenziamento, se veritiera e formulata civilmente

di Giuseppe Bulgarini d'Elci

La denuncia del lavoratore di comportamenti scorretti e offensivi subiti da parte di un superiore gerarchico, veicolata alla società attraverso una lettera scritta formulata con espressioni corrette e civili, costituisce esercizio legittimo del diritto di critica e non integra, quindi, gli estremi di una giusta causa di licenziamento. Ciò, a condizione che sia stata ravvisata la veridicità dei fatti denunciati dal lavoratore.

La Corte di cassazione (sentenza n. 21649/16, depositata il 26 ottobre 2016) ha osservato che la formulazione di accuse da parte di un dipendente nei confronti di uno o più responsabili aziendali, quand'anche foriere di conseguenze sul piano penale, non travalica l'esercizio del diritto di critica se sono stati rispettati i limiti della continenza sostanziale, che risiede nella corrispondenza a verità dei fatti denunciati, e della continenza formale, la quale si sostanzia nell'utilizzo di espressioni corrette e in una diffusione limitata al perimetro aziendale.

Il caso affrontato dalla Cassazione era relativo al licenziamento del dipendente di una nota impresa del settore alimentare, la quale aveva ritenuto irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario per avere il lavoratore denunciato pretese azioni scorrette e offensive del proprio superiore gerarchico, allegando, per di più, il parere pro veritate di un avvocato penalista. Tale iniziativa del lavoratore, ad avviso della società, non si collocava nell'ambito del diritto di critica perché i fatti riferiti dal dipendente si risolvevano in accuse di rilevanza penale nei riguardi di un altro dipendente della società, risultando in tal modo irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario alla base del rapporto.
All'esito del primo grado di giudizio il licenziamento era stato ritenuto legittimo, mentre la Corte d'appello aveva ritenuto insussistente la giusta causa di recesso rilevando che, tra l'altro, i fatti oggetto della denuncia del lavoratore erano risultati veritieri e formulati con modalità ritenute corrette.

La Cassazione ha confermato la sentenza resa dalla Corte territoriale, ribadendo il principio per cui si rientra nell'ambito del corretto esercizio del diritto di critica se i fatti posti a fondamento della denuncia del lavoratore siano risultati veritieri e, inoltre, se la denuncia sia stata formulata in tono civile e con una diffusione limitata al contesto aziendale. Rimarca la Cassazione, conformandosi ad un insegnamento maturato in seno alla giurisprudenza di legittimità, che non risulta travalicato l'esercizio del diritto di critica neppure nel caso in cui il lavoratore abbia promosso una denuncia in sede penale, a condizione che egli abbia agito allo scopo di difendere la propria posizione soggettiva e che non abbia travalicato la soglia del rispetto della verità oggettiva.

Sulla scorta di queste argomentazioni la Corte di legittimità ha concluso che il “discrimen” tra esercizio del diritto di critica e diffamazione, nell'ambito del rapporto di lavoro, risiede nel rispetto dei limiti della continenza sostanziale, per tale intendendosi la veridicità dei fatti denunciati, e della continenza formale, essendo richiesto che le espressioni utilizzate dal lavoratore siano connotate da correttezza e civiltà e che, inoltre, siano diffuse in un ambito ristretto (possibilmente, al perimetro aziendale) allo scopo di evitarne una ingiustificata diffusione.

La sentenza 21649/16 della Corte di cassazione

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