Contenzioso

Omesse ritenute, non serve il fine di evasione

di Patrizia Maciocchi

Per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali basta la consapevolezza di non versare all’Inps quanto dovuto, mentre non serve lo scopo dell’evasione contributiva. E la responsabilità per il comportamento illecito, ricade sempre sul datore di lavoro che non può “sfilarsi” dai suoi obblighi sulla base di una delega . La Corte di cassazione (sentenza 39072) respinge il ricorso del presidente del Cda di una società per azioni, condannato per il reato previsto dall’articolo 2 del Dl 463 del 1983.

Il ricorrente, tra le altre contestazioni, inseriva anche la sottovalutata assenza del dolo visto l’omissione era dovuta a una causa di forza maggiore: una crisi aveva colpito l’impresa proprio nel periodo dei mancati pagamenti.

Inoltre, secondo il vertice del board, i giudici, svalutando del tutto l’elemento soggettivo del reato, avevano “tarato” la sanzione solo sull’entità delle somme non versate, senza considerare che la sua era un’azienda di 500 dipendenti e dunque il debito non poteva che essere alto.

La Cassazione - come scrivono gli stessi giudici - coglie l’occasione «per sgombrare definitivamente il campo da un equivoco di fondo che rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema». I giudici chiariscono che, per il reato preso in esame, non è richiesto il fine di evasione contributiva, «tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto».

La scelta di non pagare prova il dolo: i motivi della scelta non lo escludono.

Nè si può parlare di causa di forza maggiore dovuta alle difficoltà economiche dell’impresa, perchè nei reati omissivi la forza maggiore scatta solo con l’assoluta impossibilità e non con la semplice difficoltà ad adempiere. Non passa neppure il tentativo di scaricare la “colpa” sul consigliere delegato a pagare le ritenute. Un soggetto, non solo privo della necessaria autonomia finanziaria, ma comunque impossibilitato ad attrarre su di sè una responsabilità che resta del datore di lavoro, come soggetto attivo del rapporto previdenziale. Il datore, infatti, anche quando delega ad altri il versamento delle ritenute, conserva l’obbligo di vigilare sull’adempimento da parte del terzo. Un onere che incombe su di lui anche se perde la titolarità dell’impresa di cui era a capo al tempo dei mancati pagamenti. Inoltre non può essere considerato un risarcimento del danno neppure il pagamento dei contributi effettuato prima del giudizio: il versamento non è spontaneo e non è integrale lasciando fuori gli interessi e le spese eventualmente sostenute dall’Istituto per recuperare il credito. Per finire la Cassazione chiude negando diritto di cittadinanza, in sede di legittimità, all’affermazione secondo la quale il ricorrente aveva avuto la “sfortuna” di gestire un elevato numero di lavoratori.

La sentenza n. 39072/17 della Corte di cassazione

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