ApprofondimentoContenzioso

Danno da demansionamento e prova per presunzioni

di Pasquale Dui, Luigi Antonio Beccaria

N. 14

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Posto che la prova del danno da demansionamento può essere data anche attraverso l’allegazione di presunzioni, il giudice deve valutare la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata dell’adibizione alle mansioni di produzione, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo il corso di formazione ricevuto, i solleciti rivolti ai superiori per lo spostamento a mansioni più consone, tutte caratteristiche specifiche dell’attività svolta dalla lavoratrice suscettibili di valutazione ai fini dell’accertamento di un danno professionale, sia nel profilo di un eventuale deterioramento della capacità acquisita sia nel profilo di un eventuale mancato incremento del bagaglio professionale.

Massima

  • Demansionamento – inesatto adempimento – onere della prova dell’esatto adempimento – datore di lavoro – necessità Cass., sez. lav., ord. 8 marzo 2024, n. 6275

    Quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 c.c., è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che l’adibizione a mansioni inferiori fosse giustificata dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure, in base all’art. 1218 c.c., a causa di un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

La vicenda giudiziaria e l’esame dei giudici di merito

A seguito di doppia pronuncia conforme, la Corte d’Appello di Napoli confermava la pronuncia del giudice di prime cure, respingendo il ricorso proposto da una ex dipendente nei confronti della società; nel ricorso veniva domandato l’accertamento di condotte demansionanti asseritamente poste in essere dalla società datrice, avente natura di società per azioni.

Nella motivazione, la Corte partenopea applicava il principio c.d. “della ragione più liquida”, in funzione del quale postula l’esigenza di ...

  • [1] Appare opportuno il richiamo a Cass. n. 3822/2021, secondo cui: “Deve ritenersi corretta in diritto la pronuncia impugnata laddove ha individuato il danno da dequalificazione in via presuntiva ricostruendo i compiti svolti dal lavoratore e desumendo il pregiudizio, subito per effetto dello svilimento della professionalità, dalla sua durata e gravità, nonché dall’anzianità di servizio dello stesso lavoratore; in tal modo, infatti, la decisione del giudice di appello non si è posta in contrasto con l’orientamento espresso da questa Corte che ai fini della prova del danno da dequalificazione del lavoratore dipendente ammette il ricorso alla prova per presunzioni, desumibile da precisi elementi dedotti, come le caratteristiche, la durata, la gravità, la frustrazione di precise e ragionevoli aspettative di progressione professionale. Infatti i giudici di secondo grado non hanno ritenuto sussistente il danno da demansionamento in re ipsa, ma come lesione della professionalità del lavoratore, in base ad un accertamento presumibile, hanno fissato l’impoverimento del bagaglio professionale del ricorrente (revisore tecnico coordinatore) alla quantità e qualità del lavoro successivamente svolto, al tipo e alla natura della professionalità, alla durata del demansionamento, alla diversa e nuova disposizione lavorativa dopo la denunciata dequalificazione.”

  • [2] Sul punto si veda Cass. n. 6752/2006, che ha affermato la seguente massima di diritto: “In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove.”