Decreto ingiuntivo Inps inefficace finché l’erede non accetta l’eredità
In tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l'apertura della successione non è di per sé sufficiente all'acquisto della qualità di erede, qualità che si consegue con l'accettazione, ricavabile anche dal compimento di atti incompatibili con la volontà di rinunciare, oltre che dall'inerzia del chiamato all'eredità che si trovi in possesso dei beni del deceduto nella particolare situazione descritta dagli articoli 484 e 485 del codice civile (accettazione con beneficio di inventario).
La sentenza 21436 del 30 agosto 2018 della Cassazione presenta alcuni profili di interesse determinati dagli effetti dell'applicazione di questi principi civilistici all'ipotesi di debiti contributivi non riscossi per effetto del decesso del debitore. In questi casi solitamente l'ente previdenziale invia una comunicazione/diffida al chiamato o ai chiamati all'eredità, invitando gli stessi a dichiarare espressamente la volontà di accettare o rinunciare all'eredità (scelta non automatica soprattutto in presenza di debiti contributivi). Tale attività produce delle conseguenze dirette e rilevanti che condizionano la recuperabilità del credito, quando la vicenda si sposti sul piano processuale. Infatti, l'invito contenuto nella diffida a dichiarare la propria volontà o meno di accettare non è sufficiente, secondo la Cassazione, a dimostrare la qualità di erede nel chiamato, non potendo costituire la mancata rinuncia all'eredità e la mancanza di fatti idonei ad escludere l'accettazione dell'eredità elementi indicatori della volontà di accettare, sia pure non espressa.
Il problema si pone dunque quando sia constatata l'inerzia, o meglio il disinteresse, del destinatario della richiesta di pagamento in ordine al subentro di costui a subentrare nell'asse ereditario e a rispondere di conseguenza anche delle azioni di terzi dirette a rivendicare il pagamento di crediti del deceduto. Da una parte il creditore (in questo caso un creditore istituzionale, l'Inps) ha uno specifico interesse a che sia rimosso lo stato di incertezza derivante da tale inerzia, a tutela del credito stesso e anche ai fini di un'eventuale annullamento dello stesso in autotutela per definitiva irrecuperabilità. E' anche vero, però, che la semplice inerzia da parte del chiamato all'eredità non può produrre effetti a lui pregiudizievoli, in assenza delle condizioni che il codice civile richiede per qualificare il comportamento come accettazione.
La Corte si pone il problema del bilanciamento tra queste due opposte esigenze, quella di certezza dei rapporti giuridici e quella di tutela del chiamato all'eredità, il cui disinteresse non può assumere di per sé un significato che la normativa civilistica non contempla. Peraltro, è lo stesso codice civile a garantire la possibilità di una scelta ponderata da parte del chiamato, con la previsione, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 480 del codice civile, del termine decennale di prescrizione, decorrente in via ordinaria dal giorno dell'apertura della successione, del diritto di accettare l'eredità. Ed è lo stesso codice civile a rappresentarsi la concorrente esigenza di certezza nei rapporti giuridici, e a stabilire che chiunque vi abbia uno specifico interesse possa chiedere all'autorità giudiziaria la fissazione di un termine entro il quale il chiamato all'eredità dichiari se vi accetta o vi rinunzi. Con la conseguenza che trascorso detto termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il disinteresse assume in tal caso valore significativo, provocando la perdita del diritto di accettare (articolo 481 del codice civile).
Applicando tali principi all'ipotesi di una controversia previdenziale attivata nei confronti del chiamato all'eredità per il recupero di contribuzione omessa dal deceduto, pare evidente alla Corte che non possa ritenersi sufficiente a qualificare come erede il chiamato all'eredità che abbia semplicemente omesso di attivarsi a seguito di diffida (sia pure con messa in mora e con espressa richiesta di indicazione di eventuale rinuncia all'eredità) proveniente dall'Inps. In questo caso sarà onere del creditore attivare il procedimento previsto dall'articolo 481 del codice civile, chiedendo all'autorità giudiziaria l'apposizione di un termine entro il quale dichiarare la scelta. In difetto di tale procedimento, e naturalmente in mancanza degli altri requisiti da cui poter ricavare la qualità di erede, il chiamato all'eredità che sia destinatario di un decreto ingiuntivo da parte dell'Inps risulta privo della necessaria legittimazione passiva, in quanto non può definirsi erede dell'originario debitore e quindi soggetto passivo dell'obbligo contributivo.
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