Contenzioso

Niente principio di automaticità per i collaboratori monocommittenti

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di Silvano Imbriaci

La sezione lavoro della Cassazione, con la sentenza 8789/2022 del 17 marzo, torna sul tema dell'applicazione del principio di automaticità (articolo 2116 del Codice civile) ai lavoratori iscritti alla gestione separata Inps che svolgano attività di collaboratori in regime di monocommittenza. Ci si chiede se, anche in questo caso, come capita normalmente nell'ambito del lavoro dipendente, la mancata copertura contributiva non precluda l'accesso alle prestazioni previdenziali.

L'applicazione del principio regolato dall'articolo 2116 del Codice civile, secondo cui le prestazioni previdenziali sono assicurate ai prestatori di lavoro anche quando l'imprenditore non abbia versato i contributi obbligatori, soffre di importanti eccezioni, del resto legittimate dalla stessa norma che fa salve le diverse disposizioni delle leggi speciali (ad esempio, i contributi prescritti; oppure le "prestazioni" dovute dal Fondo di tesoreria gestito da Inps).

Il punto di discrimine è comunque rappresentato dalla ricostruzione di un modello di rapporto di lavoro subordinato che veda fronteggiarsi datore e prestatore di lavoro. Tale modello, tuttavia, viene interpretato nel senso di ricomprendervi non solo le ipotesi tipiche della subordinazione, ma anche tutte le situazioni in cui si riproduca una scissione tra soggetto che versa i contributi e prestatore di lavoro. È comunque omogenea rispetto a questo scenario l'applicazione del principio dell'automatismo? Qui la Cassazione pone un limite ben preciso.

L'obbligo contributivo in favore dei collaboratori iscritti alla gestione separata in realtà, ai sensi dell'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995, da un punto di vista sostanziale grava sugli stessi lavoratori, restando irrilevante che l'articolo 1 del Dm 281/1996 ponga a carico dei committenti (in misura parziale) l'adempimento di tale obbligo. Si tratta dunque di una forma di delegazione di pagamento che rileva sul piano delle modalità di estinzione delle obbligazioni e non sull’allocazione dell'obbligo sostanziale. Infatti, in caso di inadempimento del committente, il collaboratore può dichiarare (quindi non chiedere) all'ente di assumersi in proprio il debito relativamente alla parte che il suo committente si è accollata, salvo poi regolare i rapporti interni nelle forme contrattualmente previste. Ciò che suscita la necessità di una riflessione supplementare sul punto è proprio il regime di monocommittenza che spesso, come in questo caso, regola il rapporto di collaborazione che, dunque, nei fatti finisce per renderlo del tutto analogo e somigliante, per così dire, a quello di una subordinazione vera e propria.

Il punto di partenza è rappresentato dal fatto che, trattandosi di materia rimessa alla discrezionalità del legislatore, la deroga al principio descritto dall'articolo 2116 del Codice civile, che si estende naturalmente fino al limite del lavoro autonomo, può operare solo dove vi sia un'espressa indicazione normativa. Altrimenti, al pari del lavoratore autonomo, il lavoratore che non abbia formato la propria provvista contributiva non potrà accedere ai trattamenti previdenziali previsti per la propria posizione.

Così non accade nel lavoro subordinato, dove il lavoratore è essenzialmente estraneo al rapporto contributivo datore di lavoro/ lavoratore. Ovviamente, la necessaria autonomia dei rapporti tra i soggetti coinvolti nell'ambito del sistema contributivo previdenziale non implica l'assenza di varie forme di interazione e collegamento tra il versamento contributivo, l'erogazione della prestazione e lo svolgimento del rapporto. Ma tale interazione (che si riflette oggi nelle circostanze che legittimano direttamente il lavoratore a verificare in contraddittorio con il datore di lavoro e l'Inps la regolarità della propria posizione contributiva) non va mai al di là di una assunzione di rischio in capo al lavoratore circa il mancato versamento dei contributi previdenziali, se non nei limiti, in fondo, della prescrizione (ma anche in quel caso vi sono i rimedi risarcitori, se esperibili).

Trattandosi dunque quella dei collaboratori di una fattispecie che, sia pure in presenza di alcune singolarità, rientra nel lavoro autonomo, la Corte esclude la possibilità di un'applicazione del principio di automaticità, che non può essere identificato alla stregua di un meccanismo risarcitorio, trattandosi di principio posto a tutela ordinaria e preventiva del lavoratore contro gli effetti negativi derivanti dall'inadempimento contributivo del datore di lavoro (con i limiti della prescrizione).

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