Possibili le trasferte anche all’estero ma serve una valutazione caso per caso
Il protocollo del 6 aprile 2021 invita a considerare il contesto della destinazione
Lo scoppio della pandemia ha imposto un profondo ripensamento delle trasferte e degli spostamenti per lavoro, per via di due fattori.
Il primo fattore, più strettamente connesso all’emergenza sanitaria, riguarda la necessità di applicare le misure di sicurezza approvate per contenere la diffusione del virus: un reticolo di norme, accordi e misure non semplice da applicare, sia per la continua evoluzione del quadro normativo, sia per la molteplicità delle fonti che intervengono sulla materia, non sempre in maniera coordinata e coerente.
Queste misure trovano la propria fonte principale nel protocollo sottoscritto lo scorso 6 aprile 2021 tra il Governo e le parti sociali, con il quale è stato superato il precedente divieto di effettuare trasferte di lavoro (l’intesa è stata resa efficace da un successivo atto amministrativo e ha imposto l’aggiornamento dei vigenti protocolli aziendali).
Il superamento del divieto di trasferte, contenuto nel precedente Protocollo del marzo 2020, che espressamente vietava tutte le trasferte e i viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate, è avvenuto in forma graduale: l’intesa di aprile, infatti, prevede che il dipendente possa essere inviato fuori dalla sede di lavoro per trasferte, sia nazionali che internazionali. Tuttavia, la stessa intesa invita il datore di lavoro a tenere conto del contesto associato al tipo di trasferta, sollecitando anche una collaborazione con il medico competente e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Questa impostazione richiede, quindi, un monitoraggio attivo e costante del datore di lavoro, che non può limitarsi a ritenere superato il divieto di trasferte, ma ha il dovere di monitorare sempre l’andamento epidemiologico della sede di destinazione, evitando di incrementare il livello di rischio nel caso in cui la situazione sanitaria generale renda difficile o sconsigliabile lo spostamento.
Va considerato, inoltre, che tutte le trasferte all’interno del territorio nazionale devono fare i conti con le regole che impongono, a seconda dei luoghi e delle situazioni, il possesso del green Pass o del super green pass; con la conseguenza che il mancato possesso di questi documenti può rendere ancora più difficile, se non impossibile, lo spostamento del lavoratore.
Il secondo fattore che impone un ripensamento delle trasferte per motivi di lavoro deriva dalla combinazione di due elementi: la forte spinta alla digitalizzazione offerta dalla pandemia e la crescente attenzione all’impatto ambientale dei viaggi.
Oggi un’azienda attenta ai temi della sostenibilità deve chiedersi, ogni volta che organizza un incontro o prevede di mandare un dipendente in trasferta, se quella riunione, missione o incarico richiedono davvero una presenza fisica (con tutto quello che ne consegue, in termini di costo e di impatto ambientale, oltre che di esposizione al rischio epidemiologico) oppure possono essere svolti, con risultati analoghi, utilizzando gli strumenti digitali che sono ormai diventati di uso comune.
Non c’è una risposta uguale per tutte le situazioni e, anzi, le aziende ancora faticano a trovare il giusto bilanciamento tra presenza fisica e digitale (il tema si pone non solo per le trasferte ma anche per la gestione dello smart working). Ma sulla costruzione di questo bilanciamento si gioca un pezzo importante della nuova organizzazione del lavoro alla fine dell’emergenza.