Rassegna di Cassazione
Demansionamento e onere della prova
Subordinazione e autonomia
Malattia e assenza alla visita medica
Cambio appalto e diritto all'assunzione discendente dalla clausola di salvaguardia del Ccnl
Demansionamento e onere della prova
Cass. Sez. Lav. 21 luglio 2022, n. 22900
Pres. Manna; Rel. Bellé; Ric. M.E.F.; Controric. G.D.
Demansionamento – Art. 2103 c.c. – Esatto adempimento – Onere della prova del datore di lavoro – Sussiste - Risarcimento del danno – Onere di allegazione specifica del lavoratore – Sussiste
Quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure, in base all'art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
NOTA
La Corte d'appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado del Tribunale accoglieva la domanda di una lavoratrice in punto di risarcimento del danno per demansionamento, confermando tuttavia, il rigetto, già pronunciato in prime cure, della domanda di risarcimento del danno per mobbing.
La Corte territoriale, rispetto al demansionamento, riteneva che le deposizioni testimoniali raccolte non consentissero di accertare in concreto quali fossero stati i compiti affidati alla lavoratrice nel periodo oggetto di causa e concludeva, pertanto, che l'assegnazione a mansioni non confacenti dovesse aversi per provata.
Invece, con riferimento al mobbing, la Corte d'appello riteneva che gli elementi istruttori raccolti non fossero sufficienti ad individuare l'intenzione del datore di lavoro di svilire la lavoratrice, elemento soggettivo per integrare la fattispecie del mobbing.
Con riferimento al danno veniva riconosciuto un importo per danno biologico, temporaneo e permanente, nonché per danno morale, mentre veniva disattesa la domanda rispetto al danno esistenziale, il danno alla professionalità ed economico per differenze retributive, sul presupposto che nulla fosse stato in proposito precisato nel ricorso e che mancasse il necessario supporto probatorio, anche solo sotto il profilo indiziario.
Avverso tale decisione proponeva ricorso il datore di lavoro.Innanzitutto, la Corte di Cassazione ha richiamato il proprio consolidato orientamento secondo cui «quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c., è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali oppure, in base all'art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».
Pertanto, secondo la Suprema Corte, correttamente la Corte d'appello di Roma ha fondato la propria decisione sul fatto che non fossero emersi in concreto elementi idonei ad attestare che effettivamente alla lavoratrice fossero state assegnate mansioni idonee.
La Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso principale.Avverso la sentenza della Corte territoriale romana proponeva altresì ricorso incidentale la lavoratrice. In particolare, per quel che qui interessa, per contestare che sarebbero mancate proprie idonee allegazioni rispetto ai danni lamentati.
La Corte di Cassazione ha confermato la genericità delle allegazioni della ricorrente in relazione ai danni subiti e rigettato il ricorso incidentale.
Subordinazione e autonomia
Cass. Sez. Lav. ord. 21 luglio 2022, n. 22846
Pres. Berrino; Rel. Cavallaro; Ric. F.A.; Contr. INAIL; Res. INPS;
Fattispecie: muratore e imbianchino - Autonomia /Subordinazione - Prestazione elementare - Eterodirezione - Non sufficienza - Criteri sussidiari – Criteri presuntivi sussidiari - Necessità
Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, qualora la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dall'eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro.
NOTA
La Corte d'Appello di Firenze, riformando la sentenza del Tribunale, respingeva la domanda svolta da F.A., in proprio e quale titolare dell'omonima impresa individuale, volta ad accertare l'insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con tre lavoratori e, conseguentemente, la non debenza dei contributi e dei premi a lui richiesti dall'INPS e dall'INAIL.
Avverso tale sentenza F.A. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della
Corte d'Appello laddove ha ritenuto che il rapporto intercorso con i tre lavoratori dovesse qualificarsi come subordinato sul presupposto che operasse nel caso di specie una presunzione di subordinazione. Il ricorrente si è poi lamentato che la Corte territoriale non abbia considerato che i tre lavoratori si erano dichiarati artigiani autonomi, titolari di autonome ditte individuali, e che gli stessi svolgevano contestualmente altri lavori a beneficio di terzi.
Nel suo esame del ricorso, la Suprema Corte evidenzia, innanzitutto, come la Corte territoriale, nel motivare la propria conclusione sulla natura subordinata del rapporto intercorso, abbia rilevato che i lavoratori interessati svolgevano attività di muratore e imbianchino sulla base delle indicazioni fornite di volta in volta da F.A. e che nel caso di specie ricorressero i tratti della prestazione di lavoro subordinato, e ciò in ragione della natura esecutiva delle mansioni affidate ai lavoratori (per loro natura soggette alle disposizioni del titolare dell'impresa edile), dell'utilizzo da parte dei tre lavoratori di materiali e strumenti di lavoro di proprietà dell'impresa individuale e, infine, della ricezione da parte di questi ultimi di un compenso su base oraria.
Ciò rilevato, la Suprema Corte stabilisce che le conclusioni cui è giunta la Corte territoriale sono coerenti con il principio indicato nella massima (già espresso, tra le pronunce più recenti, da Cass. nn. 22289 del 2014 e 23846 del 2017).
La Corte di Cassazione ricorda poi che in sede di legittimità il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo integra un giudizio censurabile, sotto il profilo dell'errore di diritto, solo per ciò che riguarda l'individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato per come tipizzati dall'art. 2094 cod.civ., mentre è sindacabile, sotto il profilo dell'omesso esame circa un fatto decisivo, «allorchè si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale». Ciò affermato, la Suprema Corte rileva che, nel caso di specie, il ricorrente non ha denunciato un errore di diritto o l'omesso esame circa un fatto decisivo (nei limiti ammessi), ma abbia sostanzialmente domandato con il proprio ricorso una (inammissibile) rivalutazione del materiale probatorio alla luce del quale il giudice di merito ha presuntivamente ricondotto le collaborazioni intercorse tra i soggetti coinvolti nell'alveo del rapporto di lavoro subordinato.
La Corte di Cassazione dichiara quindi il ricorso inammissibile.
Subordinazione e autonomia
Cass., sez. Lav., ord. 15 luglio 2022, n. 22387
Pres. Doronzo; Rel. Cinque; Ric. P.; Contr. H.S.
Autonomia e subordinazione - Rapporto di agenzia – Qualificazione del rapporto - Nomen iuris - Limiti – Concrete modalità di svolgimento del rapporto – Prevalenza
Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, deve attribuirsi maggiore rilevanza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto da cui è rilevabile l'effettiva volontà delle parti rispetto al nomen iuris adottato dalle stesse.
NOTA
La Corte di Appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo con la quale, in accoglimento del ricorso proposto da un lavoratore, era stata accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra quest'ultimo e la società a favore della quale aveva svolto - per un periodo ininterrotto di circa sei anni - attività di agente sulla base di un contratto di agenzia, con condanna della stessa alla ricostruzione della carriera del lavoratore ed alla rifusione delle spese di lite.
In particolare, la Corte territoriale riteneva che, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, la prestazione del lavoratore si era svolta (i) nel rispetto delle direttive conferite dalla società, (ii) in sostituzione di altri dipendenti, (iii) con una retribuzione parametrata alla percentuale del fatturato complessivo del magazzino, (iv) con un orario di lavoro tendenzialmente costante e senza che il lavoratore sopportasse i costi del veicolo di cui si serviva per rendere la propria prestazione.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, sostenendo, in particolare, che la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto superata la volontà negoziale, espressa nel contratto generatore del rapporto, in assenza di un inequivoco comportamento delle parti che dimostrasse la successiva formazione di una diversa volontà, che nella fattispecie non era emersa.
La Suprema Corte, dopo aver richiamato il principio di cui in massima in tema di distinzione tra lavoro e subordinato, con riferimento al caso di specie, ritiene che l'iter logico-giuridico seguito dalla Corte d'appello sia immune da vizi, avendo la stessa accertato - quanto al profilo dell'effettivo assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro – che, in definitiva, "il lavoratore era inserito nella organizzazione imprenditoriale e assoggettato al potere direttivo e organizzativo della società".
Conseguentemente, la Cassazione rigetta il ricorso con condanna della società alle spese di lite.
Malattia e assenza alla visita medica
Cass. Sez. Lav. 18 luglio 2022, n. 22484
Pres. Esposito; Rel. Di Paolantonio; Ric. I.C.C.S..; Controric.M.S.
Malattia – Visita medica – Dipendente assente - Sanzione disciplinare – Richiamo scritto – Illegittimità -Perdita indennità -Esclusione
Deve essere annullata la sanzione disciplinare irrogata al dipendente malato che risulta assente alla visita fiscale perché sotto la doccia. L'assenza alla visita domiciliare di controllo, infatti, non è concettualmente coincidente con il tenere una condotta, all'interno delle pareti domestiche, che si riveli di ostacolo all'accesso del medico competente.
NOTA
La Corte d'Appello di Milano, respingendo l'appello del datore di lavoro, confermava la sentenza del giudice di prime cure che aveva accolto il ricorso del lavoratore, annullato la sanzione disciplinare irrogata nei confronti dello stesso e condannato altresì il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore l'indennità di sala operatoria sospesa in quanto il regolamento contrattuale ne condizionava l'erogazione all'assenza di provvedimenti disciplinari.
In particolare, la Corte di Appello di Milano escludeva la rilevanza disciplinare della condotta del lavoratore - che al momento della visita di controllo non aveva sentito suonare il campanello di casa perché "sotto la doccia" impedendo così l'accesso del medico fiscale nell'abitazione - non risultando violati gli obblighi di diligenza ex. artt. 2104 e 2106 cod. civ.Avverso tale decisione il datore di lavoro ha proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte ritiene immune da vizi l'iter argomentativo della Corte territoriale.
Nello specifico la Cassazione ritiene che "il CCNL invocato dalla società ricorrente inserisce fra le condotte di rilievo disciplinare l'assenza alla visita domiciliare di controllo, che non è concettualmente coincidente con il tenere una condotta, all'interno delle pareti domestiche, che si riveli di ostacolo all'accesso del medico competente; quest'ultima può essere equiparata al mancato rispetto delle fasce di reperibilità nei rapporti con l'istituto previdenziale non già ai fini disciplinari, per i quali, oltre a venire in rilievo il principio di legalità e quello di proporzionalità, occorre accertare che in concreto la condotta, valutata in tutti i suoi profili oggettivi e soggettivi, integri una violazione degli obblighi che dal rapporto scaturiscono".
La Corte di Cassazione precisa, infine, che "l'obbligo di cooperazione che grava sul lavoratore in malattia, pur rilevando anche sul piano contrattuale del rapporto di lavoro, non può essere esteso fino a ricomprendere il divieto per il lavoratore medesimo di astenersi dal compiere qualsiasi atto del vivere quotidiano, normalmente compiuto all'interno delle pareti domestiche;".
Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.
Cambio appalto e diritto all'assunzione discendente dalla clausola di salvaguardia del Ccnl
Cass. Sez. Lav. ord. 14 luglio 2022, n. 22212
Pres. Esposito; Rel. Pagetta; Ric. Z. C.; Controric. L.
Cambio appalto - Clausola di salvaguardia - CCNL - Applicazione - Limite - Attitudine professionale del dipendente - Fattispecie: lavoratore condannato per traffico di sostanze stupefacenti - Esclusione dal passaggio - Legittimità.
In caso di cambio appalto, il diritto all'assunzione scaturente dalla clausola di salvaguardia del contratto collettivo applicabile non è assoluto ma è condizionato dai principi generali del sistema che consentono comunque al datore di lavoro di procedere alla verifica dell'attitudine professionale del dipendente. In tal senso, è legittima l'esclusione dal passaggio al nuovo appaltatore del lavoratore che si sia reso protagonista di fatti di inaudita gravità sotto il profilo penale, accertati con sentenza definitiva.
NOTA
La Corte d'Appello di Reggio Calabria, in riforma alla sentenza di primo grado, ha respinto la domanda con la quale un lavoratore aveva chiesto di accertarsi in via principale l'avvenuta conclusione del contratto di assunzione con la Società subentrata alla precedente datrice di lavoro nella gestione dell'appalto per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e, in via subordinata, l'accertamento del diritto ad essere assunto dalla subentrante, in applicazione della "clausola di salvaguardia" di cui al CCNL Servizi Ambientali. Il giudice d'appello ha premesso che «il diritto all'assunzione del lavoratore, scaturente dalla clausola di salvaguardia prevista dal contratto collettivo, incontrava il limite, derivante dai principi generali del sistema, della possibilità per il futuro datore di lavoro di far valere l'esistenza di condizioni ostative all'assunzione inerenti alla valutazione dell'attitudine professionale dello stesso dipendente, come confermato dalla previsione di cui all'art. 8 L. 300/1970, che consente l'effettuazione di indagini destinate alla valutazione dell'attitudine professionale in vista di una futura assunzione». In considerazione del coinvolgimento del lavoratore in una vasta e ramificata rete di rapporti finalizzati al traffico di sostanze stupefacenti, il giudice d'appello ha rilevato che tale circostanza era di gravità tale da incidere indubitabilmente sull'indispensabile elemento fiduciario del rapporto di lavoro rendendo inutile l'assunzione in quanto destinata ad essere seguita da un licenziamento per giusta causa; oltre a ciò, l'esistenza di una conclamata incompatibilità del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa giustificava ampiamente l'inadempimento da parte della Società nuova datrice di lavoro dell'obbligazione di facere scaturente dalla clausola di salvaguardia.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso il lavoratore censurando la sentenza impugnata sul rilievo che il contratto collettivo Servizi Ambientali espressamente prevedeva il diritto alla costituzione automatica del rapporto di lavoro ed escludeva qualsiasi potere di valutazione sull'attitudine professionale del lavoratore in capo al nuovo datore di lavoro.
La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso rilevando che la sentenza impugnata correttamente si fonda su due rationes decidendi, ciascuna delle quali da sola idonea a sorreggere la statuizione di rigetto della originaria domanda ed in particolare: «a) l'essere il diritto all'assunzione scaturente dalla clausola di salvaguardia di cui all'art. 6 del contratto collettivo applicabile non assoluto ma condizionato dai principi generali del sistema che consentivano comunque al datore di lavoro di procedere alla verifica dell'attitudine professionale del dipendente, attitudine professionale, la quale nello specifico era esclusa dalla commissione di un grave reato connesso al traffico di stupefacenti, accertato con sentenza definitiva; b) il configurare la conclamata incompatibilità del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa, per essersi questi reso protagonista di fatti di inaudita gravità sotto il profilo penale, un fatto che esonerava, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., il datore di lavoro dall'obbligo di facere a suo carico scaturente dalla previsione del contratto collettivo».