Contenzioso

Sul danno da superlavoro la prova tocca al dipendente

Il lavoratore deve dimostrare lo svolgimento della prestazione secondo modalità nocive e il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno

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di Monica Lambrou

Il lavoratore che vuole chiedere un risarcimento per i danni alla salute che ritiene legati a ritmi di lavoro eccessivi, ha una serie di oneri probatori a suo carico. E una volta assolti questi oneri, è il datore di lavoro, a sua volta, a dover dimostrare che la prestazione si è svolta invece normalmente, entro limiti sostenibili. La Cassazione, rinviando recentemente un caso alla Corte d’appello di Roma, ha fatto il punto sugli oneri probatori delle parti, quando è in gioco un risarcimento ex articolo 2087 del Codice civile (Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 34968 del 28 novembre 2022, si vedano Il Sole 24 Ore e Ntpluslavoro del 29 novembre 2022). Vediamo quindi come si articola l’orientamento dei giudici sui danni da “superlavoro”.

Gli obblighi sulla sicurezza

L’articolo 2087 del Codice civile pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.

A questo fine, l’imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure atte a salvaguardare l’incolumità dei propri dipendenti.

Tali misure vanno distinte tra:

quelle tassativamente imposte dalla legge;

quelle generiche dettate dalla comune prudenza;

quelle ulteriori che in concreto si rendano necessarie (Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, sentenza 555 del 7 giugno 2022).

Per “superlavoro” si intende lo svolgimento di un’attività lavorativa che ecceda la ragionevole tollerabilità. Casi di “superlavoro” si possono riscontrare, ad esempio, nell’eccessivo superamento dei limiti dell’orario di lavoro o nell’imposizione al lavoratore dell’obbligo di raggiungere risultati produttivi incompatibili con lo svolgimento di un’ordinaria attività lavorativa.

L’obbligo datoriale di tutela dell’incolumità del dipendente non può essere superato nemmeno da accordi con il lavoratore che prevedano modalità di svolgimento della prestazione lavorativa in misura eccedente l’ordinaria tollerabilità, consistenti, ad esempio, nell’accettazione di straordinario continuativo o nella rinuncia a periodi di ferie.

Infatti, il comportamento del lavoratore non esime l’imprenditore dall’adottare «tutte le misure tutelative dell’integrità fisico-psichica del predetto, comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un soggetto» (Tribunale di Taranto, sezione lavoro, sentenza 3803 del 25 maggio 2012).

Come anticipato, le misure adottate dall’imprenditore a tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore non si sostanziano nella mera adozione di quelle tassativamente imposte dalla legge, ma richiedono un approccio proattivo, estendendosi a tutte quelle cautele che si rivelino idonee a tutelare l’incolumità dei dipendenti. È infatti passibile di sanzione anche l’omessa predisposizione di tutte le misure e le cautele atte a preservare l’integrità psicofisica dei lavoratori, tenuto conto della concreta realtà aziendale (Corte d’Appello di Milano, sentenza 555/2022).

Così, secondo la Cassazione, anche il mancato adeguamento dell’organico aziendale (in quanto e se determinante un eccessivo carico di lavoro), nonché il mancato impedimento di un superlavoro eccedente, secondo le regole di comune esperienza, la normale tollerabilità, con conseguenti danni alla salute del lavoratore, costituisce violazione dell’articolo 2087 del Codice civile» (Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 8267 del 1° settembre 1997).

È anche sanzionabile il datore che consenta il mantenimento di un ambiente di lavoro stressogeno e, come tale, fonte di danno alla salute dei lavoratori.

Le prove a carico del lavoratore

Ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale, il lavoratore che lamenti di aver subìto, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, può agire per il risarcimento del danno biologico invocando la responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex articolo 2087 del Codice civile.

A questo fine, sarà tenuto a fornire la prova dell’esistenza di tale danno, nonché a dimostrare la nocività dell’ambiente. Quest’ultima deve essere individuata nei concreti fattori di rischio circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa (ad esempio, modalità qualitative improprie, per ritmi o quantità di produzione insostenibili, o secondo misure temporali eccedenti i limiti previsti dalla normativa o comunque in misura irragionevole).

Il lavoratore dovrà infine dimostrare il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno subìto. Dovrà cioè dimostrare che proprio la prestazione lavorativa, svolta con modalità devianti, è stata la causa del pregiudizio alla salute da lui subito.

Le prove a carico del datore

Una volta che il lavoratore abbia dimostrato queste circostanze, graverà sul datore di lavoro l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno stesso.

A questo scopo, dovrà dimostrare che la prestazione si è svolta invece secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili, o che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da una causa a lui non imputabile.

Le pronunce dei giudici


L’onere della prova, tra lavoratore e datore

In tema di azione risarcitoria ex articolo 2087 del Codice civile, per i danni causati da un’attività che ecceda la ragionevole tollerabilità, il lavoratore deve provare lo svolgimento della prestazione secondo modalità nocive e il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno. Il datore di lavoro, per il suo dovere di assicurare che l’attività non sia pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità del dipendente, deve dimostrare che la prestazione si è svolta invece secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili.
Cassazione, ordinanza 34968 del 28 novembre 2022

Tutela da tecnopatie: quando c’è lo straining
Rientra nell’obbligo datoriale di protezione previsto dall’articolo 2087 del Codice civile, in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti all’inquadramento (articolo 2103), la tutela contro le tecnopatie da costrittività organizzativa, potendosi configurare lo straining quando ci siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, o nel caso in cui il datore consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute.
Cassazione, ordinanza 33428 dell’11 novembre 2022

L’onere del datore: provare le cautele adottate
Il lavoratore che agisce per il risarcimento del danno in base all’articolo 2087 del Codice civile non può sottrarsi all’onere probatorio a suo carico, riportandosi alle conclusioni della commissione medica ospedaliera o del comitato di verifica in sede di accertamento della dipendenza dalla causa di servizio, ma deve provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, e il nesso tra l’uno e l’altro elemento. Il datore di lavoro deve invece provare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno.
Consiglio di Stato, sentenza 6370 del 20 luglio
2022

L’onere del lavoratore: dimostrare le violazioni
In tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione dell’articolo 2087 del Codice civile, la parte che subisce l’inadempimento ha l’onere di dimostrare, oltre che l’esistenza del fatto materiale, anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che il datore ha messo in atto un comportamento contrario alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che devono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Corte d’appello di Roma, sentenza 2875 del 30 giugno 2022

Le tutele adottate: l’applicazione va verificata
Il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro. Va comunque osservato che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia se omette di adottare le idonee misure protettive, sia se non accerta e vigila che di queste misure il dipendente faccia effettivamente uso.
Corte d’appello di Milano, sentenza 555 del 7 giugno 2022

Il nesso causale tra il danno e la violazione
La prova della responsabilità datoriale, in base all’articolo 2087 del Codice civile, richiede l’allegazione da parte del lavoratore, che agisce deducendo l’inadempimento, sia degli indici della nocività dell’ambiente lavorativo al quale è esposto – da individuare nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa – sia del nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione da parte del datore e i danni subiti.
Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 35177 del 18 novembre 2021

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