Tempo tuta retribuito quando c’è eterodirezione
La Corte di cassazione, sezione lavoro, 25 febbraio 2019, n.. 5437, è di recente tornata su una questione molto spinosa relativa all'orario di lavoro: quella del cosiddetto tempo tuta.
Si tratta, in particolare, del tempo del quale i lavoratori hanno bisogno per compiere le operazioni di vestizione o svestizione necessarie per indossare una determinata divisa sul lavoro.
Rinviando a un consolidato orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità - peraltro da reputarsi conforme anche alla giurisprudenza europea sul tema - la Corte ha affermato che per valutare se il tempo tuta vada o meno retribuito bisogna fare riferimento alla disciplina contrattuale specifica e distinguere, quindi, l'ipotesi in cui la vestizione e la svestizione siano soggette al potere di conformazione del datore di lavoro dall'ipotesi in cui, invece, tali operazioni non siano altro che atti di diligenza preparatori all'esecuzione della prestazione lavorativa. Se nel primo caso il tempo tuta va retribuito, nel secondo caso no.
I giudici hanno anche specificato quando è possibile parlare di eterodirezione con riferimento alle predette operazioni, chiarendo che la stessa può derivare sia in maniera esplicita dalla disciplina d'impresa, sia implicitamente dalla natura degli indumenti da indossare o dalla funzione alla quale gli stessi assolvono, se sono abiti differenti da quelli normalmente utilizzati come abbigliamento quotidiano.
Nel caso di specie, l'eterodirezione era stata ritenuta provata da una serie di elementi di fatto che il giudice aveva considerato nella loro valenza indiziaria. In particolare, era stata data rilevanza alla circostanza che gli indumenti utilizzati per il lavoro dovevano essere obbligatoriamente conservati nei locali aziendali e non potevano essere utilizzati al di fuori della sede dell'impresa e alla circostanza che le operazioni di vestizione e svestizione erano regolamentate dal datore di lavoro in relazione al luogo e al tempo, dovendo essere svolte prima della timbratura in entrata e dopo la timbratura in uscita.
Il datore di lavoro aveva tentato di far valere dinanzi alla Cassazione l'illegittimità di tale ragionamento, rilevandone una presunta implausibilità, ritenuta tuttavia infondata dalla Corte. I giudici, infatti, hanno reputato condivisibili le conclusioni tratte in sede di merito dai predetti presupposti, fondate sull'id quod plerumque accidit, e hanno confermato che le operazioni di vestizione e svestizione risultavano eterodirette. Con conseguente retribuzione del tempo tuta, come ogni volta che c'è eterodirezione.